30 giugno 2008

JACOPO GARDELLA: PIANO DI GOVERNO DEL TERRITORIO, QUALE MILANO CI ASPETTA?

Intervento di Jacopo Gardella al dibattito: “Piano di Governo del Territorio, quale Milano ci aspetta”; organizzato presso la Casa della Cultura, lunedì 30 Giugno 2008, ore 20.30.

Il Piano del Governo del Territorio, presentato ufficialmente nella Sala delle Cariatidi alcuni mesi fa, è una buffonata; una presa in giro, un testo senza né capo né coda. Tutti i maggiori problemi di Milano, tutte le principali questioni urbanistiche vengono elusi; elusi non vuol dire che non se ne parla, ma se ne parla senza esporre idee concrete e programmi realizzabili. Faccio alcuni esempi.
·        I TRASPORTI
Uno dei problemi più angosciosi per la città di Milano è il problema del traffico: sia urbano sia extraurbano. Mi aspettavo che il Piano ci desse un quadro completo della rete metropolitana da attuare nei prossimi decenni (dico decenni e non anni, perché Milano è rimasta così indietro da non poter sperare di realizzare una rete metropolitana efficiente nello spazio di pochi anni: ci vorranno decenni. Niente di male: ma è un male non dichiararlo con franchezza; e non spiegarci in quale modo si pensa di colmare la grave lacuna). Mi aspettavo di veder tracciata la futura rete metropolitana su tutta la città e sui suoi dintorni; di vedere fisicamente sotto quali strade sarebbe passata; di sapere i tempi successivi di esecuzione delle varie linee; di conoscere le priorità stabilite, cioè quali linee avranno la precedenza; di essere informato sul costo di costruzione, sia dettagliato che complessivo; di vedere illustrato il piano di finanziamento necessario alla realizzazione delle varie linee, con la differenziazione fra fondi pubblici e fondi privati; di sapere se col passare del tempo i soldi investiti hanno possibilità di essere recuperati. Di tutto questo complesso di informazioni che mi aspettavo (e che si aspettava ogni milanese affezionato alla sua città) non compare nemmeno l’ombra nel Piano del Territorio; compaiono invece affermazioni vaghe, parole generiche, notizie confuse. Per questo motivo dico che il Piano è una presa in giro.
Sempre attinente al problema del traffico va considerato il dramma (così va definito il drammatico calvario che si ripete, ogni mattina di ogni giorno lavorativo, all’ingresso in città delle auto private: code su tutte le strade che a raggiera convergono verso il centro storico. Code lunghe, lente, esasperanti. Il palliativo dell’eco-pass si sapeva in anticipo che non sarebbe servito a nulla, e non avrebbe potuto risolvere le dimensioni immani del drammatico ingresso in città.
I sostenitori dell’eco-pass, o per ipocrisia ma più probabilmente per ignoranza, prendono a modello quanto è stato adottato a Londra, dove si paga una tassa di ingresso alla città se si vuole entrare con la propria auto privata. Ma i sostenitori, ingenui ed ottusi, non sanno che a Londra i mezzi di trasporto pubblico sono efficientissimi? Non sanno che metropolitane e autobus coprono l’intero territorio urbano e passano a frequenze continue? Non sanno che i taxi hanno prezzi ragionevoli e sono reperibili rapidamente e in continuazione? Non sanno che il bisogno dell’auto in città è del tutto eccezionale ed il suo uso un lusso superfluo? Non capiscono che proprio per questo ultimo motivo è giusto imporre una tassa di ingresso, ed anche una tassa cara? A Milano, al contrario, dove i mezzi di trasporto pubblico sono indegni di una grossa metropoli europea e dove i taxi si stentano sempre a trovare, l’uso dell’auto diventa spesso una necessità, un rimedio ineludibile, una costrizione imposta (non scelta liberamente): e quindi l’onere dell’eco-pass è una punizione iniqua.
Il dramma dell’ingresso in città si può risolvere in due modi: o potenziando le linee regionali che dalle diverse parti della Lombardia conducono al centro città; oppure creando dei parcheggi di interscambio, dove il privato lascia in sosta la propria auto; e da dove prende i mezzi di trasporto pubblico che lo portano nel luogo da lui desiderato; oppure, in caso di urgenza, si serve di taxi, concepito come mezzo di trasporto integrativo al trasporto pubblico. Dei taxi parleremo più avanti.
Sul potenziamento delle reti ferroviarie o di autobus regionali va fatto uno studio complesso; uno studio che riesca a dare, da qualsiasi provenienza periferica, un arrivo alla città di Milano; un arrivo che sia altrettanto regolare, puntuale, sicuro, quanto lo è oggi quello offerto dalle Ferrovie Nord.
Sulla creazione di parcheggi, disposti a corona intorno alla città, in corrispondenza delle principali arterie radiali, non è necessario un investimento di dimensioni straordinarie; ma è invece necessario un miglioramento radicale dei mezzi di trasporto urbano, che dai parcheggi periferici conducono al centro città.

Il problema dei taxi merita un trattamento a parte: oggi sono molto costosi e per di più difficili da reperire; sono quindi un servizio caro e carente (è il caso di dire che ci infliggono il danno con le beffe). I taxi, al contrario, da mezzo di lusso dovrebbero diventare mezzi popolari, ed integrare il servizio dei trasporti comunali. Per ottenere ciò si devono concordare tariffe speciali, che permettano ai taxisti di fare molte più corse a prezzi molto più bassi.
Sempre relativo al problema del traffico, e non, come può sembrare, aspetto minore di questo problema, è lo sviluppo e l’incentivazione dei percorsi ciclistici. L’uso diffuso della bicicletta, in una città di pianura come è Milano, con un clima mediamente temperato, sarebbe una abitudine provvidenziale, sia perché alleggerirebbe il traffico nelle strade, sia perché ridurrebbe l’inquinamento atmosferico. L’uso della bicicletta, tuttavia, richiede una rete ciclabile attentamente studiata e capillarmente diffusa; una rete da progettare nell’insieme come nei dettagli.

Mi son limitato a citare questi tre aspetti del traffico urbano ed extraurbano: la rete dei trasporti metropolitani e di superficie tutt’ora carente; il dramma dell’ingresso in città, per ora non risolto; i percorsi ciclabili, fino ad oggi nemmeno abbozzati; il migliore uso dei taxi, oggi utilizzati malissimo.
Di questi quattro aspetti, non secondari, il Piano del Territorio o non dice nulla o dice poco e male; e niente di concreto e conclusivo. Per questo dico che è un Piano-burla.
·        IL VERDE
Un altro nodo cruciale dell’urbanistica milanese è quello della tutela delle aree verdi. Le aree verdi intorno a Milano si sa che sono rimaste in scarsa quantità: pochissime, anzi quasi nessuna a nord della città; un poco più estese a sud. E’ stato costituito un Parco Agricolo Sud; e si sta costituendo una Cintura o Dorsale Verde a nord; ma nonostante queste lodevoli iniziative il verde continua ad essere aggredito. Sotto questo aspetto il Piano del Territorio è inesistente. Non serve infatti proclamare la necessità di difendere il verde se poi non si ha la forza ed il coraggio di imporre un divieto di edificazione assoluto e tassativo, ed impedire qualsiasi futura costruzione che comporti diminuzione del verde esistente. Sono da considerare quali inaccettabili diminuzioni del verde urbano, e quindi atti criminali, alcune operazioni già attuate o in procinto di essere attuate: tra le già attuate ricordo l’abbattimento del Bosco Gioia di due anni fa e recentemente il taglio degli alberi in Piazza Brasile; tra le operazioni che minacciano di essere attuate ricordo la distruzione del parco Isola (Via Confalonieri); l’ampliamento del CERBA; la erosione di una grande porzione di campagna per edificare i futuri capannoni dell’EXPO.
Un discorso particolare merita l’assegnazione di volumetria ad aree agricole e lo spostamento della stessa volumetria in altre zone non classificate come agricole. Enunciata in questo modo l’assegnazione fa paura, perché trasferirebbe una cubatura di dimensioni paurose in zone già densamente edificate e quindi non più classificate come agricole. Ma l’assegnazione parte da una premessa che va tenuta presente, anche se da soddisfare in modo diverso da quello proposto dal Comune. La premessa riguarda il diritto di edificazione sui suoli privati. E’ noto che tale diritto viene a cessare se ai suoli viene assegnata la destinazione di verde agricolo; mentre i suoli destinati alla edificazione sono palesemente favoriti perché godono di un sensibile aumento di valore. L’ingiustizia è evidente; e non è mai stata risolta, nonostante anni fa il Ministro democristiano Sullo abbia tentato di superarla, togliendo a tutti i suoli il diritto di edificazione e concedendolo solo dietro versamento di un congruo ammontare allo Stato. La proposta di Sullo naufragò subito a non venne più menzionata, Ma il problema giuridico-economico resta; e la proposta del Comune di Milano, se ha il torto di volerlo risolvere rozzamente, ha il merito di averlo riaperto.
·        LO SVILUPPO URBANO
Un altro aspetto, di importanza fondamentale, che sta alla base della urbanistica milanese e che il Piano di Governo ignora bellamente, consiste nel tipo di sviluppo che si vuole dare alla città. Milano, si sa, è una città radioconcentrica; questa sua forma ha creato molti inconvenienti, ma è nata anche da ragioni storiche ormai non più modificabili. Il fatto che sia radioconcentrica non è un male, se si rispettano due condizioni: la prima riguarda i servizi urbani che devono essere modellati per rispondere a questa sua forma particolare; la seconda condizione è che a questa stessa forma debba porsi un limite e non le si permetta più di espandersi all’infinito. Il Piano di Governo del Territorio non dà nessuna previsione chiara, comprensibile e realistica su quello che sarà lo sviluppo futuro del territorio. Milano dovrà espandersi secondo uno schema radiale, lineare, satellitare? Nessuna indicazione viene data; e tanto meno la sola indicazione che oggi sembra ragionevole e plausibile: quella di impedire qualsiasi accrescimento della città esistente e favorire uno sviluppo policentrico esteso su tutto il territorio regionale. In parole semplici ciò vuol dire che, sia nel centro sia nella periferia della città, si deve interrompere il processo di continua edificazione, e che le nuove espansioni urbane devono avvenire nel territorio della Lombardia, sotto forma di nuclei insediatisi. Tali nuclei potranno o appoggiarsi alle città di provincia esistenti o essere interamente di nuova fondazione. Solo bloccando il dilagare attuale della città “a macchia d’olio”, si riuscirà a dare alla città un futuro che sia vivibile. Ma ciò significa incidere pesantemente sulla politica economica della città; dico economica prima che urbanistica perché oggi – come ben evidenziato da Adriano Ciccioni e da Milly Moratti –, finite le grandi industrie che erano il vanto della nostra operosità lombarda (Falck, Pirelli, Ansaldo, Montecatini, Carlo Erba, Innocenti, Breda, Alfa Romeo, ecc...) l’unica attività economica che domina a Milano è la attività edilizia; l’unico giro colossale di affari che ancora esiste a Milano è quello legato alle costruzioni. Le costruzioni hanno bisogno di terreno; ed i costruttori si avventano, senza scrupoli, su terreni ancora liberi. Se l’attività pubblica non arresta, con disposizioni severe, questo assalto alle aree agricole per farle diventare edificabili, non saranno certo gli imprenditori edili e gli immobiliaristi a fermare la propria cupidigia.  Il Piano di Governo, di cui stiamo parlando, redatto dal Comune in vista non del bene della città, ma degli interessi dei costruttori, non è certo lo strumento urbanistico adatto a controllare, a contenere, e – se necessario – ad impedire lo sviluppo edilizio della città. E tanto meno a deviare questo sviluppo su altre e più lontane zone del territorio, che non possono né devono essere le fasce periferiche, ancora parzialmente verdi, ancora fortunatamente intatte.
Occorre un Piano totalmente diverso dall’attuale: più coraggioso, più lungimirante, e socialmente più sensibile alle esigenze dei cittadini. Ciò non significa tarpare l’attività edilizia dei costruttori; significa orientare in ambiti diversi da quelli utilizzati e sfruttati fino ad oggi. Ambiti non più periferici ma territoriali; non più urbani ma regionali; non più contigui alla città esistente, ma distaccati da questa e dislocati uniformemente nel territorio lombardo.
Per redigere un simile auspicabili Piano occorrono Amministratori e politici ben diversi dagli attuali. E poiché né tra gli schieramenti di destra né tra quelli di sinistra vedo oggi comparire tali Amministratori, non resta che sperare nella capacità di azione (e di lotta) di noi cittadini, riuniti qui questa sera. Auguri

P.S.: Ho detto che il Comune di Milano non prende a cuore gli interessi dei cittadini e non prende la loro difesa se qualcuno minaccia quegli interessi. Lo dimostra un fatto incontestabile, che si ripete continuamente: il rifiuto delle Autorità e la loro reticenza a colloquiare con chi chiede di essere ascoltato; il silenzio o la cattiva volontà di rispondere alle lettere che i cittadini inviano agli Amministratori; la vaghezza e nebulosità con cui i politici si esprimono di fronte a domande, precise e pressanti, sollevate da i vari Comitati civici; la difficoltà e lentezza con cui si permette agli interessati di accedere ai documenti amministrativi; l’atteggiamento di scarsa collaborazione, se non di aperta ostilità, tenuto dai funzionati comunali nei confronti di quanti si presentano agli sportelli per avere delucidazioni. Un Comune serio e democratico aiuta gli abitanti della città; un Comune irresponsabile ed autoritario li ignora e spesso li danneggia. Questo triste atteggiamento del nostro Comune è bene che sia reso noto e giudicato come merita.

Nessun commento: